Recensione: “Vertigine” di Franck Thilliez

Tre uomini si risvegliano in un baratro di ghiaccio, un luogo freddo, inospitale che potrebbe diventare la loro tomba.

“Chi sarà l’omicida, chi sarà il bugiardo, chi sarà il ladro”

Queste le scritte sui loro giacconi.

I tre non si conoscono, niente sembra unirli se non il gioco di sopravvivenza a cui sono costretti… Perché sopravvivere sarà la sfida più grande, come scoprire il perché sono stati rinchiusi lì.

Tra segreti, inganni e ricordi, questo thriller psicologico procede in un crescendo di spietata crudeltà, dove le regole del vivere comune valgono ben poco di fronte al desiderio di restare vivi.

In prima persona, seguiamo la vicenda attraverso gli occhi di Jonathan, ex alpinista, cinquantenne, con una moglie malata di leucemia prossima al trapianto.

La sua diffidenza verso i suoi compagni di sventura, la sua incredulità e i suoi tentativi di razionalizzare sono esposti come la sua crescente disperazione, il suo rendersi conto che non c’è alcun controllo nella situazione in cui si trovano, che quando si è davanti alla propria mortalità i ricordi hanno più peso e una una propria “vita”, specie se colmi di senso di colpa.

Costruito ad arte, il romanzo mi ha tenuto incollata alle sue pagine, con le sue tinte forti, fino al finale, alla sua rivelazione tra dubbi e certezze, verità e bugie, fino alla considerazione di un grande incastro, di una vendetta che sorprende, sconvolge e che ha bisogno di tempo per essere “digerita”.

Un’immersione nei torbidi meandri della mente e delle dinamiche umane.