Stile breve, conciso, quasi scarno, come pennellate rapide e “superficiali”.
L’impressione è che non debba descrivere (perché non lo fa), ma far intuire solo l’atmosfera.
E l’atmosfera di questo noir è decisamente nera, decadente, fuorviante, persino amorale.
Morel è un pittore, fotografo all’occorrenza, rinchiuso in prigione per l’omicidio di una delle sue amanti.
Inizia a scrivere di sé e della sua vita e lo fa saltando da un aneddoto all’altro, tra citazioni e pensieri brevi, cambiando solo i nomi.
Vilela è stato un poliziotto, ora scrittore in crisi.
Legge gli scritti di Morel e pian piano si ritrova a scoprire la realtà dietro la finzione, a desiderare di indagare sulla verità.
Il cinico e vuoto Morel cerca nel sesso un’ancora per una vita allo sbando.
La sua storia con Joanna è malata, deviata, perché anche lei cerca “nell’estremo” qualcosa a cui aggrapparsi.
E il vuoto che sentono i protagonisti si riverbera in tutta la narrazione lasciando un senso di incompletezza, di insensatezza.
“Il caso Morel” non è un thriller.
L’evento delittuoso in sé pare servire solo per indagare nella morbosa vita di un uomo alla deriva, nelle sue devianze e di quelli che lo circondano.
Non è un romanzo per “stomaci deboli”, dove persino lo stile di narrazione è un insieme di eventi dissociati che pure formano una storia dal carattere fin troppo cupo e degenerato.
Ringrazio Fazi Editore per avermi fornito la copia digitale!
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