“Epoche vissute e mai dimenticate” per un giornalista/scrittore – Intervista a Emanuele Gagliardi

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Emanuele GagliardiEmanuele Gagliardi (Roma, 1969) è sposato e ha una figlia. Giornalista pubblicista, laureato in Scienze Politiche, lavora in RAI dal 1999. Esperto di politica internazionale e di storia contemporanea dell’Estremo Oriente, collabora con saggi e articoli su riviste specializzate come Studi Cattolici, Nova Historica, Radici Cristiane, Corrispondenza Romana ed è direttore responsabile dell’agenzia online Cultura&Identità. Con il romanzo noir “La Maschera” (Rai Eri, 2011) ha vinto l’edizione 2011 del Premio Letterario NarreRai (destinato ai dipendenti del gruppo RAI) e si è classificato terzo al Premio Carver 2012. Si è aggiudicato il secondo posto alla IV Edizione del Concorso Grangiallo a Castelbrando (2013), la Segnalazione Speciale della Giuria alla IV edizione del Concorso Scriviamo Insieme (2014) e il quarto posto ex aequo al I Premio Letterario Nazionale Bukowski (2014) con il romanzo inedito “Un’ombra”. Nel 2013 ha pubblicato un altro thriller vintage dal titolo “La neve” (Europa Edizioni) che ha raggiunto il 2º posto al Premio Letterario Nazionale Autore di te stesso ed ha ricevuto il Diploma d’onore della Giuria del Premio Letterario Internazionale Trofeo Penna d’Autore. Si è classificato al quarto posto ex aequo alla VII edizione del Premio Letterario Giovane Holden con “Scommessa assassina” (Giovane Holden Edizioni) e il suo quinto romanzo “La pavoncella”, come gli altri di genere thriller-noir-vintage, ha ricevuto il primo premio al I Concorso Edizioni Esordienti E-book (2014). Ha l’hobby della fotografia, prevalentemente in bianco e nero ed esclusivamente con apparecchi a pellicola. Scrive le prime stesure dei suoi romanzi con una Olivetti Lexicon 80 del 1948.

Ispirazione

Oggi, come ospite de “La Locanda dell’Inchiostro Versato“, non abbiamo un esordiente, ma un giornalista dalla grande esperienza, che ci parlerà non solo di “La pavoncella”, suo ultimo romanzo, ma anche di sé, non risparmiando consigli per chi, come me, sta ancora agli inizi! Diamo il benvenuto a Emanuele Gagliardi!

Sei uno scrittore già affermato. Come nasce, però, la tua passione per la scrittura, il tuo desiderio di scrivere?

Il desiderio, direi anzi la necessità di scrivere è parte della mia personalità. Sono un sognatore, e la penna è il mio mezzo per uscire dalla realtà. Da bambino inventavo e scrivevo racconti, magari sulla scorta di avvenimenti legati alla vita familiare – tipo una gita, un viaggio – oppure di una lettura che mi aveva particolarmente colpito… Il personaggio partorito dalla mia fantasia era un ragazzo cinese di nome Liu che risolveva casi polizieschi. Perché cinese? Perché mio padre mi ha trasfuso la curiosità e la passione per l’Estremo Oriente che ho dentro tuttora.

Qual è il tuo bagaglio di letture ed esperienze? E quali libri consiglieresti per la formazione di uno scrittore emergente? Quali i consigli in generale?

Credo che la lettura debba essere anzitutto un piacere per cui quasi mai mi obbligo a leggere un libro solo perché ritenuto un “classico” o perché in cima alle classifiche di vendita. La mia formazione è prevalentemente storica e ciò influenza anche le mie preferenze letterarie. Non solo saggi però, perchè “storia” è un concetto molto ampio e moltissimi libri di autori come Giuseppe Berto, Mario Soldati, Pier Paolo Pasolini, Ennio Flaiano – per citare solo alcuni fra gli italiani miei preferiti – sono a ben vedere libri di “storia”. Venendo poi alla letteratura gialla, che è il mio genere, ho divorato Simenon e Scerbanenco apprezzando anche le trasposizioni cinematografiche e televisive della loro opera. A mo’ di esempio cito la serie Tv dedicata al commissario Maigret interpretato dall’immenso Gino Cervi, o La morte risale a ieri sera versione per il cinema de I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco con un intenso Raf Vallone.

A un esordiente consiglio di leggere, e di conseguenza scrivere, ciò che suscita emozioni. Si scrive per comunicare qualcosa che si ha dentro, indipendentemente dal genere, e se non c’è componente emotiva difficilmente il messaggio arriverà al lettore.

La tua formazione giornalistica ha influito sul genere da te scelto per i tuoi romanzi?

Più che sul genere, la formazione giornalistica ha influenzato il mio stile. Anche quando indugio in descrizioni che mi piace spingere fino alla poesia, uso frasi asciutte, dirette, quanto più possibile prive di orpelli. È inutile, e anche noioso, scrivere duecento pagine per raccontare una storia che si può benissimo riferire in centocinquanta.

Ogni grande idea ha un quid iniziale, un qualcosa che accende la scintilla dell’ispirazione per scrivere un libro. Per te cosa è stato? Cosa ti ha portato a scrivere “La pavoncella”?

Come dicevo all’inizio, la scrittura è il mio mezzo per volare oltre la realtà. Aggiungo adesso che è pure uno stratagemma, ingenuo finché si vuole ma per me efficace, per fermare il tempo, per ritornare ad epoche vissute e mai dimenticate. Per ciò la “scintilla” è sempre una memoria: un’immagine, una musica, un odore… Intorno ad essa costruisco la vicenda. Anche La pavoncella è nata da un ricordo: a Roma fino a tutto il 1975, lo scoccare del mezzogiorno veniva annunciato oltre che dallo sparo a salve del cannone sul Gianicolo (ancora in uso), dal suono prolungato delle sirene dell’allarme antiaereo rimaste sui tetti di certi edifici anche dopo la fine della II guerra mondiale. Le tenevano in funzione per eventuali necessità legate alla Guerra Fredda. Frequentavo le elementari e quel suono lo sentivo. Dopo oltre trentacinque anni mi sono imbattuto nell’articolo di un quotidiano su un censimento delle sirene antiaeree ancora presenti a Roma e nel resto d’Italia. Personalmente mi sono arrampicato su alcune terrazze condominiali per vedere da vicino e fotografare questi cimeli ridotti al silenzio ma sempre lì, a due passi dal cielo. Nelle orecchie m’è tornato il suono del mezzogiorno insieme con la nostalgia per i banchi di scuola e intorno ad esso, poi affiancato da altre memorie, ho congegnato il romanzo.

Definisci il tuo romanzo un thriller-noir-vintage, ma dietro di esso c’è sicuramente anche indagine giornalistica. Dove la finzione e dove la realtà?

Tutti i miei romanzi sono “vintage” perché le storie si svolgono negli anni Sessanta e Settanta. Tutti, al di là della vicenda di fantasia, presentano solidi appigli alla realtà dell’epoca ricostruiti con accurate indagini condotte nelle biblioteche, nelle emeroteche, nelle cineteche. Ne La pavoncella il fatto di cronaca è rappresentato dal contemporaneo omicidio Pasolini che fa da sfondo alla vicenda. Lo ripercorro con tutte implicazioni e le ipotesi che lo hanno caratterizzato nel momento in cui era di attualità.

Perché trattare proprio questi argomenti?

Pasolini è uno dei miei autori preferiti. La sua fine è ancora un mistero. Il classico intrigo italiano dove la verità è forse la più lapalissiana, o forse no… Un giallo più giallo di qualsiasi trama un autore possa architettare. Pasolini faceva poesia anche quando scriveva in prosa. Più, e a mio avviso meglio di ogni autore neorealista ha elevato a letteratura il proletariato della Roma postbellica, le borgate, i suburbi, le baracche del Mandrione, i pratoni arsi e malati che di lì a poco sarebbero stati fagocitati dal cemento dei palazzinari. Il mio è il modesto omaggio rivolto al maestro da uno che ha ancora tutto da imparare.

Mentre scrivevi hai riscontrato delle difficoltà? Ci son state più “gioie o dolori” nella stesura? Condividi qualche aneddoto…

Vere e proprie difficoltà no. E neanche dolori. Gioie, quelle sì: sfogliare pagine di quotidiani dell’epoca, ascoltare voci, vedere immagini che il tempo sta consegnando all’antiquariato ma che continuano vive nel mio cuore. Un aneddoto: per convincere il portinaio di un condominio ad accompagnarmi sul tetto a vedere e fotografare una delle sirene di cui si parla nel libro ho dovuto dirgli che dopo il mio sopralluogo sarebbe arrivata una troupe televisiva per un servizio sulla protezione antiaerea a Roma.

Perché il tuo romanzo è diverso da altri?

Nel mio romanzo non ci sono computer, non ci sono cellulari, la Tv ha due soli canali in bianco e nero, la gente si da del lei e anche il commissario Umberto Soccodato, investigatore in tutti i miei libri, se non è di turno va a Messa la domenica con la moglie. Non dico che questa realtà sia la migliore, a pensarci bene delitti ce n’erano anche allora, ma per me lo è e ritrovarla mi fa star bene. Molti di coloro che mi leggono condividono questa sensazione.

Rivoluzione digitale: ebook o cartaceo? Cosa pensi dell’uno e dell’altro. Pregi e difetti.

Sono “vintage” dentro e fuori. Le prime stesure dei miei libri le scrivo con una Olivetti Lexikon del 1948, vesto indumenti e ascolto musica dell’epoca. È fin ovvio che sono uno strenuo sostenitore del cartaceo, così come per l’altra mia passione, la fotografia, continuo ad usare la pellicola ed apparecchi fra cui il più nuovo è del ’73. Tuttavia non rifiuto l’eBook, al contrario: ritengo possa essere un valido mezzo per rilanciare la lettura. Anzitutto per la differenza di prezzo rispetto al cartaceo che lo rende più abbordabile, poi per la comodità di spazio e peso (in un eReader trova posto una piccola biblioteca), infine perché la riduzione dei costi in fase di pubblicazione può convincere gli editori a pubblicare opere di autori che altrimenti non avrebbero avuto possibilità di farsi conoscere. Per contro c’è il rischio che anche la letteratura cada del tutto nel meccanismo dell’usa e getta che ha già annientato il cinema e la televisione.

Le difficoltà di uno scrittore per emergere sono proverbiali. Quali complicazioni hai riscontrato affrontando il mondo dell’editoria agli esordi?

È difficile ritagliarsi un profilo appetibile per gli editori. Un libro nel cassetto ha ottime probabilità di restar lì dentro per sempre se non si ha l’umiltà di bussare a tante porte e tentare diversi percorsi. Uno dei più validi, parlo anche per esperienza personale, è l’invio dei manoscritti ai concorsi letterari per inediti che prevedano come premio la pubblicazione dell’opera.

Cosa credi il pubblico si aspetti dai giovani scrittori? Cosa cerchi tu come scrittore e giornalista da un romanzo esordiente?

I gusti del pubblico sono quanto mai eterogenei. Rischio di scivolare nell’ovvio, ma credo che da un giovane scrittore i lettori si aspettino qualche cosa di realmente nuovo. Il che non significa in linea con le tendenze del momento. Piuttosto il contrario. Da un romanzo, esordiente o meno, mi aspetto un’emozione, mi aspetto di trovare o ritrovare qualcosa che arrivi dritta al cuore. Si capisce quando un libro è messo su per vendere, e magari ci riesce pure, e quando invece parla con un linguaggio che trascende la vicenda narrata e tocca le corde del lettore. In questo caso si parla di arte.

L’ultima domanda… l’immancabile… Quali sono i tuoi progetti futuri?

Nei primi mesi del 2015 uscirà il mio quinto romanzo. Sempre un noir dal sapore vintage: durante i drammatici giorni del sequestro Moro, quando mancano poco più di 48 ore allo scadere dell’ultimatum delle BR che chiedono la liberazione di alcuni “prigionieri comunisti” in cambio della vita del presidente democristiano, una studentessa viene trovata morta nel laboratorio della facoltà di Fisica all’Università di Roma. Il commissario Soccodato, praticamente solo perché gran parte della sua squadra è impiegata a cercare Moro, indaga pressato dai superiori che spingono per una rapida soluzione del caso con cui distrarre l’opinione pubblica dalle ripetute topiche delle forze dell’ordine, ultime solo in ordine di tempo la beffa di Via Gradoli e del Lago della Duchessa…

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Molto utile leggere le parole di chi ha già fatto la gavetta. ^_^ Ringraziamo ancora Emanuele Gagliardi!!!

Se volete restare ancora in contatto con il giornalista Rai, Emanuele Gagliardi, e sapere tutte le novità dei suoi prossimi scritti, ecco il link del suo blog:

Emanuele Gagliardi

Maria Stella Bruno

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